David Marcelli
pittore
Archeo-Dipinti di David Marcelli - riflessioni di Vincenzo Sanfilippo.
I dipinti d’invenzione archeologica di David Marcelli, restituiscono una pittura ri-definita fin nei minimi particolari costruttivi e cromatici che, per non lasciare vuoti interpretativi, si propone come visione totalizzante, in cui la composizione individua gli “insiemi” che costituiscono gli antichi manufatti, trasformati pittoricamente in luoghi della mente.
Nel dipinto qui rappresentato (Villa Adriana), l’espressività pittorica di Marcelli sta nel rigore costruttivo del dipinto, attraverso il massimo grado di descrittività strutturale, finalizzato a raggiungere un livello profondo di complessità compositiva.
In questo secondo dipinto la luminosità che arriva dall’esterno rivela, all’interno, la calda cromia della struttura muraria in mattoni romani (Ostia antica). Raffigura una taberna costituita da due ampi vani, ognuno quadrangolare, anticamente utilizzati a bottega con un bancone a tre piani su cui venivano esposti cibi e bevande. Sotto una vasca per lavare le stoviglie. Al centro dei due ingressi si erge un imponente piedritto, l’elemento centrale architettonico verticale, utilizzato come sostegno murario, da cui si articola la struttura ad archi del soffitto, costruito a mattoni.
Il fronte - bottega ha due ampie aperture con architravi e, sulle due lunette, finestre-lucernari. L'eterea figura di un uomo abbigliato in ampia toga, osserva dall’esterno della taberna, i luoghi della sua passata esistenza corporea.
I dipinti di Marcelli contengono un’appassionata ricerca filologica dei luoghi, dell’antropologia, dei segni e costumi della storia, delle comunità che vi hanno speso le loro vicende umane. La “lettura” di questi segni deve considerarsi come letteratura archeologica, non solo per le tecniche specifiche di recupero di manufatti da restaurare o già restaurati, ma soprattutto per l’enigmatico fascino archeologico dei luoghi dipinti.
Queste tele restituiscono e custodiscono la ripetuta frequentazione di antichi siti visitati dall’autore. Nel caso specifico, Villa Adriana e Ostia antica, dipinti con le tonalità pacate di un colloquio intimo.
Come questa vestale che l’artista inserisce considerandola “figura animante” intenta ad oltrepassare la “soglia” verso il rudere archeologico (Villa Adriana), inserita come una monolitica gigantesca installazione.
Una ri-meditazione autobiografica che è parte di un’educazione sentimentale, soprattutto una costruzione artistica identitaria e fonte di una nutrita esperienza di “Bellezza archeologica” che, oltre a riguardare Marcelli, riguarda noi tutti.
La Bellezza non vuol essere solo rievocazione letteraria-dostoevskiana di un fatto puramente estetico destinato a salvare il mondo, non un sentimento romantico abbellito dal ricordo, ma un “ricostituente” della memoria contro la rassegnazione e il disincanto.
Questi dipinti di Marcelli non vogliono essere solo lode del passato, ma un valore culturale della nostra più segreta identità, una chiamata collettiva alla sensibilità. L’artista ci mostra, attraverso la restituzione pittorica che solo l’estro fantastico sa offrire, una sorta di flusso unitario sobriamente classico, visualizzando ciò che ormai è archeologia in rovina.
In questo peristilio (Villa Adriana: teatro marittimo), il cui colonnato ruota sullo spazio aperto, c’è l’interesse per il gioco scenografico degli antichi reperti architettonici, le cui convergenze e simmetrie sono simili a teoremi prospettico-spaziali. Antichi luoghi reinventati, dove eteree figure femminili danzanti, suggeriscono un segreto rituale. Segreto di cui si vuol conservare il ricordo, senza svelarne il valore che, rivelato, troncherebbe l’evanescenza impassibile d’una figura ideale, quale profilo mitopoietico contenuto nel corpus di dipinti presentati.
Luoghi messi in risalto da un movimento lento e fasciante della luce, in una sorta di flusso unitario sobriamente classico.
In ognuno di questi quadri sono visualizzate suggestive presenze femminili dalle linee morbide e avvolgenti, che aleggiano impalpabili tra ciò che resta della magnetica archeo-metafisicità dei luoghi (Villa Adriana). Siano esse vestali oppure ninfe, visualizzano totalmente la poetica dell’artista che spazia nei territori onirici del sogno. Sono immagini oscillanti tra atmosfere sfuggenti e attimi di smarrimento. Nell’oscurità, che pervade cromaticamente alcuni dipinti, le ombre si sostituiscono alle figure e tutto fluttua in quell’opaca penombra che definisce il perturbante notturno.
Questa giovane vestale (Villa Adriana), che immaginiamo appartenente alla gens patrizia dell’antica Roma, è raffigurata in primo piano sullo sfondo di una archeologia termale mentre si atteggia nel suo allegorico gesto minimale; e, dimentica dei suoi doveri di sacerdotessa, si apre con gestualità verginale all’eros, per offrire la virtù della sua illibatezza. Liberata dai voti può celebrare la sua danza di vestale, offrendosi nel suo pudico ma sensualissimo gesto di donazione. Il manufatto archeologico, avvolto nel buio della notte, simile a un sacrario termale circondato da un agrumeto mediterraneo, dona una possente composizione di mistero alla finezza psicologica del personaggio, e l’azione scenica minimale ne fa uno tra i più bei lavori dell’autore.
Un’abilità formale non comune, una percezione sentimentale, una tensione animistica è presente in questa figura femminile posta in primo piano (Villa Adriana), dove i significanti emotivi del caldo colore, introducono alla lettura simbolica del mondo interiore, il cui significato si connette con il tema dell’energia vitale. Il colore blu delle zone in penombra sembra suggerire un’atmosfera di silenziosa riflessione dove occhio e animo riposano.
In questo luogo (Ostia antica), la cui architettura è composta da due colonne e muri dall’andamento sinuoso, il colore del mattone si lega alla terra e alla presenza femminile racchiusa in una posa di attesa. La luce tenue dell’indaco definisce l’immobilità d’una quieta castità, di un silenzio ricco di possibilità nei territori del sogno, quale memoria che si preannuncia.
In questa immagine emerge il tema iconografico di una ninfa delle sorgenti, simile ad una Naiade abbandonatasi al sonno, ai bordi di uno specchio d’acqua. (Villa Adriana: Canopo, triclinium d'acqua). Il tema della ninfa dormiente dipinta in primo piano, con sfondo un Ninfeo circondato da un bosco sacro, contiene una valenza allegorico-filosofica, di evidente consonanza: “l’oblio del sogno come l’appagamento sopito dell’io dormiente del desiderio”, in riferimento al connubio pittorico/ letterario dei “piaceri”, alla soglia del risveglio psicologico dell’iniziazione all’amore, quale ricercata armonia riconciliata tra “virtù e voluttà” in abluzioni purificatrici.
Le ninfe sono considerate spiriti animanti l'ambiente naturale, e di solito sono raffigurate come belle e giovani fanciulle che amano danzare e cantare. Tersicore, dea della lirica corale e della danza, è strettamente legata alla musica ed alla poesia, mentre volteggia in un’azione di danza tra l’intercolunnio e due statue marmoree, con le quali forma una triade emozionale assai intensa.
(Villa Adriana) Essendo i tre corpi luoghi simbolici nel dipinto, tale composizione suggerisce l’insieme di tempo e spazio ritmico. La dinamica, allegorica figura danzante, nel suo volteggiare, organizza una movenza cinetica simile ad un fotogramma che dura la quantità minima del tempo reale, necessaria per eseguire il movimento della persona con efficienza massima. Il significato simbolico è un atto magico di partecipazione alla divinità statuaria, rappresentazione ludica, gestualità cognitiva ed espressiva che dà forma al mondo interiore.
Un blu monocromatico soffuso avvolge le figure rivelate da lumeggiature lunari (Villa Adriana). La sacralità di cui è pervaso questo dipinto, simile a una cerimonia di iniziazione, ci riporta ai culti misterici dell’antichità contraddistinti da segretezza. Perciò la visione che propone l’artista è un’invenzione prospettica di distanza, che pone il punto di osservazione di noi spettatori di là dalla donna in primo piano, come se per noi contemporanei l’accesso ci sia precluso, in quanto vincolato a una cerimonia di iniziazione, rito indispensabile alla piena partecipazione al culto.
In questo dipinto l’artista rappresenta uno spaccato di rudere archeologico (Villa Adriana), la cui volta della sala imita le forme e la tecnica costruttiva di una cupola romana di ambiente termale, con lucernario rotondo al centro. Ogni forma del dipinto, come le crepe sui muri, rimanda a molteplici significanti.
L’ eterea, oblunga figura femminile levitante come strana apparizione, si stacca dall’ardita composizione ad archi (Villa Adriana) come entità sospesa e rimanda ad un’attendibile cerimonia di iniziazione, rito indispensabile alla piena partecipazione dell’offerta che tiene tra le mani.
L’accuratezza descrittiva dei dipinti di David Marcelli, esercita un’attrattiva misteriosa, come se la vita continuasse a persistere su quelle impressionanti rovine piene di tracce e presenze. L’insieme di quegli antichi manufatti rivivono, pittoricamente trasformati, in luoghi immaginari. Abitati da diafane figure femminili, abbigliate e atteggiate come ninfe o vestali, avvolte da un alone di mitologia. Una dualità questa tra figure evanescenti e ruderi archeologici, che giunge ad un livello profondo di complessità simbolica e compositiva.
Esperienze che sono scaturite dalle sue specifiche competenze acquisite nel corso dei suoi viaggi. Vissuti come un incantato archeologo da Grand Tour ammiratore di siti ineguagliabili. Marcelli fa riemergere dalle sue trascorse competenze la coscienza della propria specifica formazione, in cui il suo rapporto con l'architettura e la letteratura, è mediato con il linguaggio della pittura.
Il corpus di questi dipinti ben individua il percorso dell’artista ed è una testimonianza a tutto tondo della sua opera.